5/03/2020

31/01/2002 - Montaigne, i falafel e la convivenza attiva

Michel de Montaigne
Il moltiplicarsi di commissioni più o meno inutili a livello europeo e il proliferare di squallide lotte di potere intestine per accaparrarsi le relative poltrone (vedasi DS e Margherita) dimostra ancora una volta l'assenza di autentici progetti politici per l'Europa. Ciò dipende dal divorzio fra politica e cultura, del quale in altre occasioni abbiamo già parlato. Colmare questo vuoto può essere compito di ognuno di noi, purché ci liberiamo dalle facili deleghe al potere e ci prepariamo ad elaborare progetti autogestiti.
Chi scrive ritiene, ad esempio, che un valore unificante per gli europei possa essere costituito dalla cultura della convivenza attiva fra i popoli, fondata su un solido substrato popolare. Quando parliamo di convivenza attiva, vogliamo intendere un modello di scambio interculturale non solo paritario, ma deliberatamente ricercato e favorito da associazioni e (ove possibile) istituzioni.
Ma per confrontarci e scambiarci con altre identità culturali, occorre avere ben chiara
la coscienza della propria: è impensabile infatti confrontarci da europei (o peggio ancora da occidentali) con un marocchino o un senegalese. Dobbiamo farlo da italiani, da spagnoli, da tedeschi, o - meglio - da toscani, da catalani, da bavaresi.
Dobbiamo recuperare il senso forte delle nostre identità locali, ma con scopi opposti a quelli ben noti di matrice nazionalista e xenofoba: non per accentuare le differenze e chiuderci dietro i nostri steccati, ma bensì per cogliere i punti di contatto e aprirci a nuove prospettive, con curiosità e disponibilità.
È, in fondo, un viaggio alla rovescia quello che abbiamo la possibilità di compiere: lasciarsi "navigare" dai movimenti migratori, i quali ci portano il profumo di terre che forse non conosceremmo mai ; e - al contempo - approfondire lo studio o la riscoperta del nostro passato, quello di cui (come dice Cavallini) siamo stati derubati.
La diversità non deve necessariamente generare diffidenza, ma perché ciò non avvenga occorre, probabilmente, l'habitus mentale del filosofo: quale antidoto ai preconcetti si potrebbe consigliare a tutti, come livre de chevet, il Viaggio in Italia di Montaigne.
Montaigne è certo un viaggiatore particolare, e (data l'epoca, 1580) modernissimo: non si porta dietro alcuna prosopopea nazionalistica, ma bensì "si conforma e si regola alla moda del luogo dove si trova". E negli Essais aggiunge : "Sazio delle nostre abitudini, viaggio non per cercare dei Guasconi in Sicilia (ne ho lasciati abbastanza a casa mia); cerco piuttosto dei Greci, dei Persiani... E c'è di più , mi par di aver trovato ben pochi costumi che non valgano i nostri". Inoltre mescola continuamente quelle che oggi si definirebbero "cultura alta" e "cultura bassa", mostrando di non ritenere la seconda inferiore alla prima. Sempre nel "Viaggio in Italia", si rammarica, ad esempio, di non aver portato la "Cosmographia" di Sebastian Münster, ma anche di non aver condotto con sé un cuoco perché imparasse la cucina del luogo.
Viaggiare, dunque, in modo stanziale, ma con gli occhi aperti sui nuovi quartieri africani o asiatici che sono ormai sorti (o stanno sorgendo) nelle principali città europee: vederne le contraddizioni urbanistiche, le istanze di ghettizzazione provenienti dal tessuto sociale circostante, e anche quelle - di segno uguale e contrario - emergenti talvolta (in un bisogno di autodifesa) dalle comunità stesse. Ma coglierne anche la vitalità e i tentativi d'espressione.
Le nostre città stanno cambiando per effetto dei movimenti migratori, ma noi europei ne scorgiamo solo i riflessi in termini socioeconomici o di ordine pubblico. Nessuno nega i problemi esistenti in proposito, ma perché non lasciarsi prendere anche dalla curiosità?
A Genova, girando per i carruggi dell'antica civitas romana, oggi si possono incontrare, le une accanto alle altre, le antiche bottegucce della fainà ligure e le nuove insegne dei falafel arabi. E, se si è appassionati di storia comparata dell'alimentazione, è facile scoprire assonanze impreviste fra queste due specialità a base di ceci tipiche della cucina mediterranea.
A Torino, nella zona di Porta Palazzo, dove le vie perdono all'improvviso la rigida linearità ortogonale sabauda, si confondono, di sabato, i tradizionali commerci antiquari del Balôn piemontese con quelli, animatissimi, degli ambulanti maghrebini.
E tutto ciò è "ricchezza", sia in senso economico sia, soprattutto, culturale.
E' l'embrione di quella nuova comunità europea , che non avrà bisogno di maiuscole per contare sulla scena mondiale, ma solo della collaborazione fattiva e convinta di tutti coloro che vi risiederanno.
Per inquadrare il tema dell'immigrazione nella sua globalità e per un'analisi dei suoi apporti alla nuova imprenditorialità, si può (nonostante il nome infelice) consultare il sito Stranieri in Italia, con l'avvertenza che ospita anche posizioni ufficiali e non condivisibili.
Per le mutazioni genetiche delle città europee sotto la spinta dei movimenti migratori si veda invece l'interessante capitolo dedicato a Manchester nell'ultimo numero della rivista "Slow" (n. 24, SLOW FOOD EDITORE), e intitolato Le città plurali.

Franco Galleschi

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