5/03/2020

20/02/2002 - L'utopia possibile

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La moschea di Cordoba

foto di Berthold Werner, CC BY-SA 3.0, Collegamento


L'unico effetto positivo della guerra in Afghanistan è stato quello di ridestare l'interesse degli occidentali verso la cultura islamica: sui canali televisivi si sono moltiplicati i talk-show su Maometto con il conforto dell'islamista di turno, mentre gli scaffali delle librerie si sono improvvisamente affollati di saggi storici sulla jihad. L'interesse, tuttavia, è spesso superficiale e difficilmente darà adito a serie revisioni critiche del sistema ideologico eurocentrico, di cui siamo permeati: é più probabile che la moda si esaurisca rapidamente senza lasciare tracce nella coscienza collettiva.
Eppure l'occasione sarebbe propizia per affrontare una buona volta il problema dei nostri rapporti con le culture e le religioni "altre" (tutte, e non solo quella musulmana). Ciò costituirebbe la base di quella convivenza attiva tra i popoli , di cui andiamo ragionando ormai da tempo, e che richiede non solo buona volontà di operare sul piano delle relazioni umane, ma anche approfondimento storico e analisi critica .
Scrive Jacques Le Goff (nella prefazione alla collana "Fare l'Europa"):


"L'Europa si costruisce . E' una grande speranza che si realizzerà soltanto se terrà conto della storia: un'Europa senza storia sarebbe orfana e miserabile (...) L'avvenire deve poggiare su queste eredità che fin dall'antichità, e anzi fin dalla preistoria, hanno progressivamente arricchito l'Europa, rendendola straordinariamente creativa nella sua unità e nella sua diversità".[1] Gli storici hanno dunque davanti a sé un grande compito: riempire di contenuti la vuota federazione monetaria, che gli economisti hanno creato. Ma nella messe di studi possibili o già avviati, si deve individuare e incoraggiare un filone più circoscritto, ma di estrema importanza: quello che centra la sua attenzione sullo studio dei luoghi e dei momenti, nei quali la civiltà europea ha saputo esprimere l'interazione armonica fra le culture, le religioni e le etnie.
Ciò è avvenuto, di volta in volta, per prassi o per idealità, per iniziativa di un sovrano illuminato o per il sentire collettivo di un popolo conquistatore, che ha rinunciato ad affermarsi con la forza, preferendo l'integrazione con i "vinti". Si pensi a ciò che era Palermo nel X sec., durante la dominazione islamica:
"una metropoli cosmopolita, ricca di edifici e copiosa di acque, con una sinagoga in cui si radunava la più popolosa comunità ebraica della penisola italica, e dotata - a detta di 'Ibn Hawqal (...) - di una moschea principale capace di contenere più di settemila persone". [2]

Cordoba, sempre nel X sec.:
"contava a quel che pare circa 300.000 abitanti (...) rifulgeva di marmo, di cristallo, di mosaici per i quali si era fatto ricorso ai migliori artisti bizantini (...) era ben presto prevalsa una moderata ma progressiva integrazione fra arabo-berberi da una parte e discendenti dei celtiberi, degli iberolatini, dei gotosvevi dall'altra".[3]

E ancora Palermo, tre secoli dopo, ai tempi di Federico II, dove la convivenza tra le culture e la loro intenzionale commistione divennero addirittura l'asse portante del grande progetto culturale del sovrano svevo. Gli esempi potrebbero essere infiniti e la loro trattazione occupa già una bibliografia sterminata, ma dispersa in mille rivoli. Ci sembra quindi opportuno diffondere e incentivare studi specifici che si muovano nell'ottica della convivenza e che assegnino proprio ai meccanismi di integrazione il ruolo di chiave di lettura dell'evoluzione storica.
Si tratta insomma di mostrare, sul piano storico, come questi meccanismi siano stati un potente strumento di progresso, mentre, al contrario , le tendenze segregazioniste abbiano risospinto sempre indietro la civiltà. Un simile filone di studi potrebbe far comprendere che l'utopia della convivenza attiva è tutt'altro che tale, in quanto si è già realizzata almeno in determinati contesti e che quindi è un'esperienza ripetibile e auspicabile.
Potrebbe inoltre evidenziare che la capacità di sintesi richiesta rientra a pieno titolo fra quelle doti di creatività di cui parla Le Goff a proposito dell'Europa , e può quindi diventarne uno dei connotati salienti per il futuro. L'acquisizione di una mentalità di questo tipo è in grado di generare una cultura unificante per i nuovi cittadini europei e di colmare il vuoto delle istituzioni: sentirsi tutti partecipi e corresponsabili della costruzione di un'Europa realmente multietnica, dove , a ruoli politicamente invertiti, sta forse ripetendosi quanto era avvenuto, agli albori nel medioevo, con la conquista musulmana.
Sta a noi accettare la sfida costituita dall'essere oggi - apparentemente - i vincitori, per rinunciare ai conseguenti privilegi e farci parte attiva nel processo di integrazione.

Franco Galleschi

[1] - F.CARDINI, Europa e Islam, LATERZA EDITORE, Roma-Bari 2001, pag. V (pref.)
[2] - P. CORRAO, M. Gallina, C.VILLA, L'Italia mediterranea e gli incontri di civiltà, LATERZA Editore, Roma-Bari 2001, pag. 58
[3] - F.CARDINI, op. cit., pag. 47

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