5/03/2020

20/04/2002 - I Seghieri a Livorno : l’emigrazione dei tortai altopascini tra le due guerre

Internet, si sa, spinge a raccontarsi: i cosiddetti “siti personali” costituiscono ormai una percentuale notevole delle presenze in rete e, nella maggior parte dei casi, riflettono gusti, passioni e manie di bassissimo livello culturale, quando non vere e proprie depravazioni. L’inutilità è spesso il loro segno distintivo; ad essa si accompagna. solitamente, un autobiografismo superficiale sul piano filosofico e sciatto su quello letterario.
Non tutto, naturalmente, è così, ma le poche eccezioni non sono sufficienti a far comprendere le enormi potenzialità che i nuovi media avrebbero in questo campo, in particolare muovendosi sul filo della memoria. Parlare liberamente di sé, dei propri ricordi, dei ricordi dei propri nonni, delle attività scomparse, dei luoghi spariti è un modo di cominciare a costruire dal basso la nostra storia comune, come sommatoria di tante storie individuali.
E’ chiaro che tutto ciò deve essere fatto in una logica di condivisione e di scambio con i potenziali lettori, abbandonando ogni narcisismo velleitario e cercando invece di trovare nelle vicende narrate o illustrate un respiro universale, riconoscibile da chiunque.
L’esempio che si porta di solito è quello di

30/03/2002 - Cos'è un uomo?

Cos'è un uomo, da vivo?
Consumatore passivo al servizio delle multinazionali, massa critica, per qualche movimento di opposizione, carne da cannone per guerre più o meno sante, o altro ancora a seconda degli schemi ideologici di volta in volta applicati.
E poi, dopo morto?
Medaglia al valore per conflitti terzomondisti, record sepolto in un computer con tanto di consenso al trattamento dei dati, foto ingiallita in un ovale su una tomba. Soltanto questo? - si potrà obiettare. No, naturalmente: una visione non strettamente materialistica aprirà altri orizzonti. Ma anche restando entro confini piu' circoscritti, c'è tutto un universo di affetti, di empatie, di relazioni intellettuali difficilmente dispersibile nell'immediato.
Poi, però, il tempo, come la risacca, si porta via le conchiglie dalla spiaggia e ne reca di nuove: nuovi abitanti per questa terra, ignari di coloro che se ne sono andati e di chi li ha conosciuti.
Le generazioni si allungano, rendendo problematica l'intercomunicazione; i nuovi media, in cui alcuni vedono possibilità insperate, per altri costituiscono barriere insormontabili.
Perché è così difficile trasmettere l'eredità di un uomo qualsiasi? La risposta più semplice che si può dare è che a nessuno (esclusi forse i più diretti amici e parenti) la cosa interessa. Si dovrebbe invece cominciare a capire che

10/03/2002 Mio nonno assomigliava a Buñuel

Luis Buñuel
Mio nonno assomigliava a Buñuel. Ma alla sua morte nessun giornale gli ha dedicato un "coccodrillo". Forse perché non ha mai girato un film; e, per problemi di vista, credo sia anche andato di rado al cinema.
Eppure ha lavorato duro tutta la vita: si spaccava le mani e la schiena a rattoppare per l'ANAS le strade della Val di Cornia, e quel poco di energia che gli rimaneva la spendeva come manovale in qualche cantiere o sui campi come bracciante. Ma per il resto era simile a Buñuel, avevano perfino la stessa età: entrambi nati nel fatidico 1900, l'uno a Calanda, in Aragona, l'altro a Suvereto, in Maremma.
Si definiva socialista, ma certo negli ultimi tempi doveva essere disgustato dal craxismo imperante. E in realtà credo fosse più anarchico che socialista. Chissà cosa avrebbe pensato del film "Las Hurdes", se avesse potuto vederlo. Era di famiglia contadina, mio nonno. Mezzadri, naturalmente. Ma erano in troppi per il podere di cui disponevano e presto fu costretto a uscire di casa: dopo il matrimonio con mia nonna provò a mettersi in proprio come mezzadro, ma l'impegno era eccessivo.
Già allora, benché giovane, la vista lo tradiva. E il resto lo faceva il vino. Dovette lasciare il podere e si mise a fare lo stradino. Fu questo il suo lavoro per quasi tutta la vita; ma spesso tornava sui campi per aiutare amici e parenti nella vendemmia o in qualche altra attività stagionale. Si faceva pagare in natura, per arrotondare il bilancio di casa.
A volte gli bastava un po' di vino. E le sbornie

20/02/2002 - L'utopia possibile

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La moschea di Cordoba

foto di Berthold Werner, CC BY-SA 3.0, Collegamento


L'unico effetto positivo della guerra in Afghanistan è stato quello di ridestare l'interesse degli occidentali verso la cultura islamica: sui canali televisivi si sono moltiplicati i talk-show su Maometto con il conforto dell'islamista di turno, mentre gli scaffali delle librerie si sono improvvisamente affollati di saggi storici sulla jihad. L'interesse, tuttavia, è spesso superficiale e difficilmente darà adito a serie revisioni critiche del sistema ideologico eurocentrico, di cui siamo permeati: é più probabile che la moda si esaurisca rapidamente senza lasciare tracce nella coscienza collettiva.
Eppure l'occasione sarebbe propizia per affrontare una buona volta il problema dei nostri rapporti con le culture e le religioni "altre" (tutte, e non solo quella musulmana). Ciò costituirebbe la base di quella convivenza attiva tra i popoli , di cui andiamo ragionando ormai da tempo, e che richiede non solo buona volontà di operare sul piano delle relazioni umane, ma anche approfondimento storico e analisi critica .
Scrive Jacques Le Goff (nella prefazione alla collana "Fare l'Europa"):

31/01/2002 - Montaigne, i falafel e la convivenza attiva

Michel de Montaigne
Il moltiplicarsi di commissioni più o meno inutili a livello europeo e il proliferare di squallide lotte di potere intestine per accaparrarsi le relative poltrone (vedasi DS e Margherita) dimostra ancora una volta l'assenza di autentici progetti politici per l'Europa. Ciò dipende dal divorzio fra politica e cultura, del quale in altre occasioni abbiamo già parlato. Colmare questo vuoto può essere compito di ognuno di noi, purché ci liberiamo dalle facili deleghe al potere e ci prepariamo ad elaborare progetti autogestiti.
Chi scrive ritiene, ad esempio, che un valore unificante per gli europei possa essere costituito dalla cultura della convivenza attiva fra i popoli, fondata su un solido substrato popolare. Quando parliamo di convivenza attiva, vogliamo intendere un modello di scambio interculturale non solo paritario, ma deliberatamente ricercato e favorito da associazioni e (ove possibile) istituzioni.
Ma per confrontarci e scambiarci con altre identità culturali, occorre avere ben chiara

7/03/2011

16/01/2002 - Una nuova cultura europea per il Terzo Millennio

Escudo inquisicion.gif
Simbolo dell'Inquisizione

Di Tribunal del Santo Oficio de la Inquisición - Enciclopedia Española, Pubblico dominio, Collegamento



L' ora dell'euro è appena iniziata e già ha fatto la prima vittima: mentre in Italia Berlusconi assume l'interim degli Esteri, all'estero ci si torna a interrogare sull'affidabilità dell'Italia. L'UE si divide tra euroscettici ed euroentusiasti , ma pochi colgono la vera essenza del problema.
E il problema non è la competizione col dollaro o la tenuta dell'euro sui mercati valutari, ma bensì la totale assenza di un progetto politico e culturale comune dietro alla facciata monetaristica dell'Unione Europea.
D'altro lato, con la guerra in Afghanistan si sono colti - nella politica di Bush - segnali inquietanti di una volontà di scavalcamento dell'Europa per stabilire nuovi rapporti di alleanza con Russia e Cina, che consentirebbero agli USA e alle multinazionali statunitensi di dipendere meno da un partner troppo preoccupato (tutto è relativo, naturalmente !) degli aspetti ambientalistici e solidaristici (vedasi protocollo di Kyoto).
C'è insomma una fragilità della posizione europea sullo scenario mondiale, cui è possibile rispondere solo con una forte iniziativa sul piano culturale.

7/01/2011

03.01.2002 - Scuotere le coscienze

Commento di Franco Galleschi a una breve opera di Wallace Shawn, intitolata La febbre. Si tratta, in base alle scarne note di regia poste come epilogo, di un testo teatrale destinato ad essere rappresentato in luoghi non canonici e rivolto a piccoli gruppi di spettatori, con finalità che potremmo quasi definire di agitazione politica.

Per chi non lo ricordasse (o non avesse letto il libro), la materia drammatica è fornita dal percorso di autocoscienza dell'Autore, in evidente sovrapposizione con l'io narrante.
Partendo da un'accettazione acritica del modello ideologico occidentale (secondo il quale è normale che il 20% della popolazione mondiale consumi l'80% delle risorse disponibili e che, di conseguenza, nel resto del mondo, ci siano fame, guerra e miseria), egli arriva, poco a poco, a mescolarsi alla realtà fino a quel momento negata, fino a farsene quasi fagocitare.
Lo ritroviamo così, in preda alla febbre (una specie di infezione morale) , in una putrida camera d'albergo di un paese del terzo mondo, dove giungono gli echi delle torture e delle esecuzioni sommarie riservate agli oppositori politici dal regime dominante.

17.12.2001 - La coscienza critica

Pier Paolo Pasolini
Anni fa, durante le nostre abituali diatribe musicologiche (ma non solo), un comune amico - mio e di Stefano Cavallini - soleva svolgere un ruolo di coscienza critica, rivolgendoci provocatoriamente la domanda Cui prodest ?
Era un richiamo al ruolo e ai compiti dell'intellettuale e dell'artista, ma più in generale di chiunque tra noi voglia, dietro l'apparenza delle cose e delle spiegazioni ufficiali, capire a chi giovi veramente una determinata situazione o un dato evento.
Fare ciò significa abituarsi (o ri-abituarsi) a pensare, che è cosa sempre più rara in quest'epoca omologata e globalizzata, dove la superficialità regna sovrana.
Eppure ci sono segnali in controtendenza, che fanno sperare: il movimento no-global, pur nelle sue mille contraddizioni, è uno di questi; e fa capire come ormai ci sia una volontà di riappropriazione della politica fuori delle sedi ad essa deputate.
Ma anche all'interno di un movimento ognuno di noi deve conservare la propria capacità critica e continuare a porsi domande.